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L’economia europea e il mercato unico

Negli ultimi due trimestri del 2018 il PIL italiano è calato dello 0,1% e dello 0,2% rispetto ai trimestri precedenti dopo 14 trimestri di, seppur scarsa, crescita continua; il susseguirsi di due trimestri consecutivi di riduzione del PIL viene indicato dagli economisti come “recessione tecnica”: siamo l’unico paese in Europa che non cresce, anzi, che va indietro. In seguito a ciò, tutte le agenzie economiche internazionali hanno visto a ribasso le stime di crescita dell’Italia per il 2019, che dovrebbe attestarsi tra lo 0,2 e lo 0,6 annuo.


Nonostante il dato italiano sia emblematico, significativo e anche triste, c’è da dire che il peggioramento delle prospettive economiche non riguarda solo il belpaese, ma, seppur in misura minore, anche le altre grandi economie del continente: Francia, Spagna e persino la Germania. Tutti questi paesi stanno assistendo a un rallentamento della loro crescita e le ultime previsioni vedono ridotte le loro stime di variazione del PIL per il 2019.

Su tali dati pesano molto sia il caso italiano, che molti temono possa essere la causa di una nuova crisi economica, sia l’incertezza che ancora vi è sulla Brexit, e anche l’attesa fine quest’anno del Quantitative Easing di Draghi, il che potrebbe gravare sui conti pubblici italiani.

In prossimità di un appuntamento elettorale importante come le elezioni europee, questi dati non possono che rimettere al centro del dibattito i temi economici.

Mentre il resto dei paesi del mondo corre, l’Europa non può arrancare e i governi devono affrettarsi a mettere in atto misure che diano linfa vitale all’economia del continente.

Nei prossimi anni sarà di fondamentale importanza spingere in misura maggiore verso la creazione di un vero mercato unico europeo. Nell’epoca in cui molti tornano a credere che chiudersi in sé stessi e adottare ricette protezionistiche per rilanciare la produzione interna siano le soluzioni migliori, bisogna premere ancor di più sull’importanza dell’integrazione tra le economie dei paesi europei. Soltanto creando un’unica grande economia, che in totale sarebbe pari al PIL degli Stati Uniti, l’Europa potrà in futuro tenere alta la testa e reggere la competizione sul panorama mondiale.

Creare un unico mercato significa essenzialmente unificare e uniformare tutte le regole che stanno alla base delle economie dei singoli Stati; innanzitutto deve esserci un solo mercato del lavoro, con tutele minime per i lavoratori uguali in tutta Europa; questo porrebbe fine alla competizione tra gli Stati dell’Europa orientale, che con le loro regole meno strette sperano di attrarre sempre più capitali e investimenti dall’estero, e quelli dell’Europa occidentale, che, al fine di mantenere al loro interno attività produttive e posti di lavoro, rischiano di doversi adeguare sempre più a questa competizione al ribasso sulla pelle dei lavoratori. Un unico mercato significa anche medesime regole e procedure burocratiche per avviare attività di impresa, stesse forme societarie e norme interne per le aziende; e poi ancora serve maggiore integrazione e uniformità nel mercato dei capitali e nel mondo della finanza e delle banche.

È evidente che dietro a tutto ciò ci sono enormi interessi contrapposti tra gli Stati, che hanno bisogno di tempo e trattative per essere superati e risolti con accordi; ed è dunque chiaro che questo processo di integrazione non sarà facile, né ottenibile in breve tempo. La strada che porterà a un vero mercato unico è ancora lunga e andrà percorsa tramite piccoli passi; dobbiamo soltanto sperare che la strada non sia troppo lunga e i passi troppo piccoli, o peggio, lenti; perché intanto, fuori di noi, gli altri corrono, più veloci.


Paolo Iovino.

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15 marzo

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