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La crisi della socialdemocrazia e prospettive di ripartenza

A pochi mesi dal 26 maggio 2019 iniziano a scaldarsi i motori per le elezioni del Parlamento Europeo.


Come molti ripetono e come il sentore comune ci dice, ci si aspetta che queste elezioni saranno un ulteriore colpo alla già fragile Unione Europea, con un calo rispetto a 5 anni fa dei due partiti tradizionali, il Partito Popolare europeo e il Partito Socialista europeo (rispettivamente primo e secondo nell’attuale parlamento), e un’avanzata dei partiti euroscettici e populisti, in particolare di destra radicale. Ultimi sondaggi mostrano come questo raggruppamento di partiti sovranisti potrebbe addirittura arrivare al secondo posto dopo i popolari e sottrarre ai socialisti una posizione che detengono ormai da parecchi anni. I liberali, se si considera l’apporto che potrebbe dare il movimento del presidente francese, dovrebbero mantenersi stabili mentre una buona notizia potrebbe venire dai Verdi, i quali sono dati in crescita negli ultimi mesi.


La realtà è che il vero malato europeo è il Partito Socialista; e questo non sorprende se si osservano i risultati ottenuti dai partiti socialisti nelle elezioni nazionali degli ultimi anni: risultati negativi storici in Germania e in Svezia, quest’ultima tra l’altro roccaforte della socialdemocrazia europea dove per la prima volta da anni i socialisti hanno perso la maggioranza in Parlamento; percentuali minime intorno o sotto al 6% nei Paesi Bassi, in Francia e in Grecia in seguito a tracolli di anche oltre 20 punti percentuale; e molti altre sconfitte tra cui, ovviamente, il tonfo del PD in Italia all’elezioni del 4 marzo.


Naturalmente, in ogni paese ci sono ragioni specifiche che spiegano questi sviluppi. Tuttavia, è possibile individuare delle spiegazioni che accomunano le diverse situazioni; una in particolare: la socialdemocrazia ha perso quello che un tempo era lo zoccolo duro del suo elettorato, ovvero i lavoratori dipendenti e gli operai.


Il mondo è cambiato e con esso è cambiato il mondo del lavoro; da una parte lo sviluppo tecnologico ha infatti ridotto sensibilmente il numero di impiegati nel settore industriale, e dall’altra, c’è da dire, la socialdemocrazia europea non è stata in grado di dare risposte adeguate e di prendere una chiara posizione dinanzi a tale trasformazioni. Il risultato è stato l’abbandono della classe lavoratrice, la quale si è invece abbandonata alle braccia dei nuovi partiti sovranisti e populisti, i quali sono stati in grado di comprenderne, e cavalcarne a loro vantaggio, le richieste.


Questo quadro non deve in alcun modo lascarci andare alla rassegnazione; deve bensì essere una motivazione per tutto il mondo della sinistra italiana e europea a rialzarsi con la consapevolezza che talvolta è dalle crisi peggiori che si può ritrovare sé stessi e avviare un compiuto processo di rinnovamento che permetta di ripartire al meglio.


La Sinistra deve ripartire dai suoi capisaldi; questo però non significa un ritorno al passato, ma piuttosto una riscoperta dei principi e un loro adattamento al mondo moderno: la società è cambiata e non si può pensare di rimanere a 50 anni fa. Bisogna dunque che riscopra il suo ruolo, ancora oggi essenziale, di difensore dei più deboli, dei lavoratori e di ogni forma di minoranza; solamente se ritornerà ad avere come interlocutori principali costoro e a farsi portavoce delle loro richiese, la Sinistra potrà tornare ad alzare la testa, sperare in futuro roseo e riprendersi il posto che la storia le ha dato.

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