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UNA CITTA' (POCO) UNIVERSITARIA

Trento è una città universitaria che ha scelto di non volerlo essere.


Mi rendo conto che la mia possa sembrare un'affermazione assurda agli occhi di chi viene da fuori. Perché effettivamente, per chi viene da Verona, Bergamo, Brescia, Mantova, Modena o Palermo questa è una frase incomprensibile. Come si fa a non considerare, o peggio, combattere e rinnegare il preziosissimo tesoro che porta in eredità l'incontro di tanti ragazzi da ogni parte del nostro Paese?


Trento è una città universitaria che ha scelto di non volerlo essere, dicevamo. E questa scelta non è stata fatta qualche giorno fa, con un'ordinanza del sindaco e la conseguente mozione “urgente” di alcuni partiti e liste civiche di minoranza in Comune ma maggioranza in Provincia contro “il degrado, lo spaccio, l'imbrattamento di muri, le delezioni, lo schiamazzo e il disturbo di assembramenti di decine di persone” in alcune vie del centro della città. Ha scelto di non volerlo essere anni fa, quando ha preso gli elenchi degli studenti dell'Università degli Studi di Trento e ha visto che circa il 70% di loro è fuori sede, e quindi né loro né le loro famiglie avrebbero mai potuto votare alle elezioni amministrative trentine.


Questo per dire, in parole semplici e pragmatiche come la politica sa essere solo quando sarebbe meglio non esserlo, che queste persone e le loro prerogative sono secondarie.

Specifichiamo, questo non vuol dire che l'Università sia stata abbandonata a sé stessa, anzi, è un esempio di pura efficienza e progresso dell'amministrazione pubblica sotto molti aspetti.

Anche perché guai a far abbassare la qualità dell'Ateneo, le tasse universitarie degli studenti servono come il pane. Ma vuol dire che, al di fuori del perimetro e dei muri delle Facoltà, l'opinione degli iscritti non trentini conta quanto le due foglie di insalata servite assieme al tortel di patate con lo speck.


Tanto questi a Trento ci vengono a studiare lo stesso, non importa se finite le lezioni o le conferenze trovino le strade vuote e i locali chiusi. Vogliono divertirsi? Che tornino a “casa loro”!

Trento è una città universitaria che ha scelto di non essere universitas.

Di non voler rispettare l'universalità della vita del giovane e dello studente, che per formarsi, per crescere, per imparare a ragionare ha bisogno di altro oltre che ai libri. Ha bisogno di parlare, di confrontarsi con il mondo che c'è oltre le aule studio. E il mondo che si trova a Trento, con la sua storia di terra di confine, con i mille dialetti e costumi che (guarda un po') proprio gli studenti di tante regioni portano con sé, si trova in altre poche città d'Italia.


Dispiace per una cosa su tutte. Che questa protesta sia nata dalle restrizioni dell'orario di apertura del locale “La Scaletta”.


Il fatto sminuisce molto la faccenda e la profondità della riflessione. No, non ci siamo indignati perché non potremo prenderci la tanto agognata birra post giornata di studio. Protestiamo perché ancora una volta, o forse ce ne siamo accorti solo adesso, ci sentiamo cittadini di serie B in una città dove siamo ospiti.


Nessuno dei rappresentanti degli studenti, nessuna delle associazioni studentesche è stata interpellata od ascoltata prima della pubblicazione dell'ordinanza e della mozione. Allora è inutile aprire lo sportello giovani in via Belenzani: quando per parlare con le persone hai bisogno di creare un luogo apposta, vuol dire che non sai andare a cercarle nei posti dove le puoi trovare e dove è utile ascoltarle. O forse non ti sei mai affannato molto a cercarle.

E allora sapete che vi dico? Sono stanco di essere un cittadino di seconda classe! Settimana prossima vado a fare la richiesta per la residenza a Trento, così poi posso votare pure io! Tanto una scheda elettorale, a differenza di uno champagnone, non si nega a nessuno.



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